Ciao a tutti, amici lettori! 🙂
Dopo un lungo mese di pausa, Uno nessuno e centomila libri riprende da oggi la sua piena attività (e non solo, perché ho in progetto tantissime novità), iniziando dalla recensione di un libro con cui ho trascorso piacevolmente un paio di giorni di mare! Spero la vostra estate sia andata bene. La mia, tra molto lavoro, un sacco di amore, un pochino di mare e tante serate passate sui localini sulla spiaggia, è stata meravigliosa 🙂
Trama
Il giorno di ferragosto a Torre Ghibellina, un paesino sulle colline toscane viene trovato il corpo del “Becero”, ucciso con un colpo di pistola alla nuca sotto il “castagno dell’impiccato”. Il commissario Casabona – che abbiamo già incontrato nel precedente libro di Fusco, Ogni giorno ha il suo male, è costretto a rientrare dalle ferie, nonostante la moglie minacci che questa volta l’avrebbe lasciato.
Casabona non fa in tempo a iniziare le indagini che il caso gli viene sottratto dalla direzione antimafia. Mentre sta lasciando l’omicidio nelle mani dell’odiato ispettore Morelli, incontra tra i numerosi turisti che sono accorsi per vedere lo svuotamento della diga, da cui riemerge il vecchio borgo nascosto dalle acque del lago, un’affascinante giornalista francese, Monique Bernard. Che però non gliela racconta giusta.
Ben presto nCasabona scopre che la Bernard è un ispettore di polizia francese che sta indagando su un misterioso dossier che denuncia una strage nazista avvenuta proprio nel paesino sommerso, e che sembra essere collegato a varie morti misteriose, come quella del Becero…
Recensione
Per la terza volta, quell’orribile tragedia, consumatasi nel paesino ora ricoperto dalle acque del lago di Bali, tornava alla luce per invocare giustizia.
La verità si può nascondere, negare, modellare in nuove forme a seconda della convenienza, vestire con l’abito di una diversa apparenza, ma non si può cancellare.”
L’immagine del paesino rurale ricoperto dall’acqua è davvero incantevole. Per di più se si pensa che ogni cinquant’anni o più, quando la diga viene chiusa, le case in mattoncini e l’antico campanile riemergono alla luce del sole. É facile pensare a come gli abitanti vivano con autentica trepidazione questo momento, e si prendano una giornata intera per visitare i vecchi e cari luoghi che conservano le loro memorie.
L’acqua che sommerge il borgo è come una metafora per le antiche colpe che vi custodisce: si tratta di un terribile crimine commesso dai nazisti (e non solo) durante la guerra, che con la chiusura della diga sembra riemergere in una furia vendicativa che travolge chi custodisce il segreto da anni e non ne denuncia il colpevole.
A risolvere il caso, molto delicato perché qui giustizia e legge non corrispondono affatto, è il commissario Casabona, un poliziotto pieno di umanità, uno dei pochi che a questo mondo si battono non solo per la carriera, ma per tutelare la verità e la giustizia.
Per quanto non abbia amato le frasi brevi e banali banalmente scritte, ho apprezzato molto la storia che si caratterizza non solo per una trama ben orchestrata, ma soprattutto per la sua grande umanità: entriamo infatti nella vita del commissario Casabona, amando il suo senso di giustizia e entrando in empatia con i suoi problemi matrimoniali.
Il titolo è decisamente azzeccato e molto poetico:
La diga era stata chiusa e l’acqua aveva già ricoperto tutto il paese. Restava fuori solo la punta del campanile. […] Oltre mille anni di storia giacevano sul fondo di quell’invaso. Gioie e dolori, rancori e speranze, odio, feste, amori, morti e nuove nascite. Tutta la vita che era scorsa tra le pietre di quelle case all’improvviso si scioglieva in quell’enorme massa d’acqua verde scuro. Come il colore dei boschi di castagni, cerri e faggi che vi si specchiavano.
Bisognava saperlo, però. Il lago non lasciava trasparire nulla. Taceva. Immobile e complice con il tempo che si era fermato. […] Era la pietà dell’acqua. Da cui ogni forma prende vita e in cui tutto si dissolve”.
Antonio Fusco, La pietà dell’acqua. Giunti editore, 221 pp, € 12,90. ♥♥♥